Archivio Sergio Ramelli

Archivio Ramelli - articoli di giornale

La Notte, 16/3/1987

Dodici anni dopo

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Dodici anni dopo

Sergio Ramelli aveva 17 anni quando morì. Era uno studente dell'istituto Molinari, ed era iscritto al Fronte della Gioventù. A scuola lo avevano più volte minacciato, e lo avevano pubblicamente definito un "picchiatore fascista". Un giorno, in un'ottantina, lo costrinsero a cancellare una scritta fatta la notte precedente sul muro della scuola da alcuni elementi dell'Msi. Un giorno lo sorpresero al bar insieme al padre, e li malmenarono entrambi. Un'altra volta si fecero "consegnare" dal professore d'italiano un suo tema dedicato alla Resistenza e lo usarono per dire che Ramelli era un pericoloso fascista. Il giovane si convinse che al Molinari correva troppi pericoli e decise di cambiare scuola. Si era iscritto da quasi un mese ad un istituto privato, quando la "squadra di medicina" Avanguardia operaia ricevette l'ordine di dargli una lezione. Il 13 marzo del 1975 lo aspettarono sotto casa, in via Amedeo. In due lo colpirono ripetutamente alla testa con spranghe di ferro, sino a squarciargli il cranio. Altre dieci persone "presidiavano" la zona. La madre di Ramelli, di ritorno dalla spesa, lo trovò massacrato. Ramelli morì dopo 47 giorni di agonia. I genitori ricevettero per molti anni telefonate di minaccia; il padre morì di crepacuore.

Dodici anni dopo

La verità sull'omicidio è affiorata tre anni or sono grazie ad alcuni pentiti di Prima Linea. I giudici hanno cominciato a indagare su coloro che, nel '75, componevano il "servizio d'ordine" di Avanguardia operaia alla facoltà di medicina.
Sono state arrestate dieci persone (le stesse sotto processo da stamane) e quasi tutti hanno ammesso di aver preso parte all'agguato.

        Per dieci anni l'omicidio di Sergio Ramelli è stato un grande buco nero. Nessuno c'era, nessuno sapeva, nessuno aveva visto. Il giudice Alessandrini (lo stesso che poi venne ammazzato dai terroristi) cercò per primo di saperne di più, ma fu costretto a mettere da parte il fascicolo con la desolante dicitura "Omicidio ad opera di ignoti".
        Negli stessi ambienti della sinistra extraparlamentare milanese, una volta superata l'euforia dal "meglio un fascista in meno", quell'omicidio venne definito, con un cinico eufemismo, un "fatale errore di percorso", ma nessuno osò mai dire chi lo aveva commesso. Anzi, ci fu addirittura chi cercò di sviare le indagini. Sapientemente, infatti, qualcuno mise in giro la voce che gli assassini di Ramelli andavano cercati fra i turbolenti militanti del collettivo del Casoretto, e qualche giudice provò a ficcarci il naso. Ma, invece di scoprire gli autori della spedizione punitiva contro Ramelli, scoprì che quelli del Casoretto erano invisi all'extra sinistra ufficiale perché troppo indipendenti. Insomma, volevano incastrarli per levarseli di torno.
        Col passare degli anni scemò la voglia di scoprire i colpevoli. Per riuscirci era necessario scardinare l'omertà  dei gruppettari: un'impresa praticamente impossibile.
Il caso Ramelli stava dunque passando agli archivi, e lo striminzito fascicolo contenete i pochi "atti relativi" era ormai coperto dalla polvere. La verità venne fuori quasi per caso.
        Verso la fine dell'83 alcuni pentiti di Prima Linea, parlando di quell'episodio, fecero riferimento a una "squadra di medicina" di Avanguardia operaia. Due giudici istruttori, Grigo e Salvini, cercarono di approfondire la cosa. Fecero decine e decine di interrogatori a persone che avevano frequentato Ao in quegli anni e scoprirono che Ramelli era stato ucciso dal "servizio d'ordine della facoltà di medicina". Nell'autunno del '85 (erano passati più di dieci anni dal giorni in cui Ramelli era morto) furono emessi i mandati di cattura contro: Brunella Colombelli, Claudio Colosio, Franco Castelli, Walter Cavallai, Antonio Belpiede, Marco Costa, Luigi montanari, Giuseppe Ferrari Bravo, Giovanni Di Domenico e Claudio Scazza. Costa e Ferrari  Bravo, secondo l'accusa, avevano materialmente sprangato Ramelli. Gli altri avevano fatto da copertura.
        Tutti dinnanzi ai giudici hanno ammesso di aver partecipato all'agguato, tutti tranne Antonio Belpiede (consigliere comunale del Pci a Cerignola) e Barbara [sic] Colombelli. Sempre secondo l'accusa, il commando era formato da altri due militanti: uno di essi è morto suicida, un altro è deceduto in un incidente stradale.
        I dieci imputati hanno un caratteristica in comune: sono medici. Chi anestesista, chi chirurgo, chi dentista, chi ricercatore alla clinica del lavoro, chi psicologo. Frequentavano medicina nel '75 e facevano parte della "squadra di Avanguardia operaia" che venne incaricata da qualche capetto di sprangare "quel fascistello del Molinari" (ogni facoltà aveva una squadra per il servizio d'ordine composta da una quindicina di persone). Nessuno di essi aveva mai visto in faccia Ramelli, non sapevano chi fosse, quali colpe avesse, e non ne conoscevano neppure l'età. Ma la disciplina era ferrea, gli ordini non si potevano discutere: Ramelli andava bastonato.
        Successe in una soleggiata mattina di marzo, a due passi dalla casa del ragazzo. Lo sprangarono mentre stata chiudendo il motorino con un lucchetto, poco prima che la madre arrivasse dal quotidiano giro nei negozi per la spesa. Si fece largo tra i curiosi e lo trovò sull'asfalto, col volto reso irriconoscibile dal sangue e col cranio aperto. Ramelli morì dopo 47 giorni di agonia, ma fin dal giorno che seguì quello dell'aggressione i familiari cominciarono a ricevere raccapriccianti telefonate di minaccia. "Bastardi" dicevano le voci anonime al padre e alla madre "farete la stessa fine di Sergio".
        Qualcuno, ancora oggi, chiama tutto ciò antifascismo militante.
        Per molti dei dieci imputati sotto processo da stamane, quella fu una svolta. Si erano ripromessi di non vedersi più e di non dire a nessuno quale che era successo, ma non potevano dimenticare. Hanno vissuto con l'incubo del rimorso per dieci anni. Qualcuno, dinnanzi ai giudici, ha confessato piangendo: "Da quando è nato mio figlio, più volte, senza rendermene conto l'ho chiamato Sergio. E ancora oggi mi sento morto dentro."


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