Archivio Sergio Ramelli

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La Stampa, 1/5/1975

L'omicidio non ha colore

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La morte del giovane Ramelli
L'omicidio non ha colore

    Si è spento, dopo 47 giorni di agonia, il diciannovenne Sergio Ramelli, ucciso a Milano in un agguato sotto casa, da una decina di sconosciuti che gli spaccarono la testa con sbarre di ferro e chiavi inglesi.
    Il Ramelli si proclamava fascista, e per questo - qui comincia la spirale cui non si può consentire di svolgersi - era stato costretto con minacce a lasciare la scuola pubblica che frequentava. Così s'inizia l'offesa alla libertà contro cui occorre insorgere. Le idee anche più aberranti, le concezioni anche più assurde, ciascuno deve poterle nutrire e dichiarare, salvo agli altri di mostrarne l'assurdità, ed anche la pericolosità. Se no, quasi due secoli di conquiste liberali sono perdute, ritorniamo ai delitti di ersia, ai processi per opinioni scandalose.
    E' vero che le idee possono generare comportamenti, che dalle idee nascono i fatti; ma questo, addotto come giustificazione per punire chi professasse certe idee, era l'argomentare dei Torquemada, di tutti gl'inquisitori antichi e contemporanei. Le idee si combattono con altre idee, con l'operare con l'esempio.
    Il Risorgimento italiano si compì sui campi di battaglia; ma mai si pensò di rendere insopportabile la vita a chi, giovane o vecchio, dichiarasse pur nell'Italia già unificata di essere nostalgico dell'Austria o dei Borboni o del potere temporale (ho ancora avuto in ginnasio un compagno, il cui nonno era stato ufficiale della guardia svizzera, che considerava il re d'Italia usurpatore di in Roma; potevamo sorridere di lui, mai pensammo non potesse essere nostro compagno).
    Ma la spirale della intolleranza non si arresta, giunge all'assassinio, nella forma più atroce e più vile: dieci contro uno, spaccare il cranio con sbarre di ferro. Disprezzo di ogni residuo non diciamo di comportamenti cavallereschi, ma degli ordinamenti, anche più arcaici, che cercassero di mitigare la crudeltà delle guerre.
    Nessun appello ad idee politiche qui è lecito; qui non c'é che una violenza omicida e bestiale che può apporsi qualunque etichetta, ma non riesce mai a nascondere le sembianze dell'uomo ritornato belva.
    Guai ad accettare una qualune attenuante con una motivazione politica: i delitti di strage, gli assassinii restano tali, quali siano i principi che si vogliano invocare. Ammettere una qualsiasi attenuante di amor patrio ai tentativi di strage fascisti, sarebbe un insulto al ticolore, ai soldati che in anni già lontani conquistarono colonie all'Italia (in un indirizzo che tutte le potenze seguivano, non intuendo quali odii e quanti guai avrebbe alla lunga generato) un insulto a chi difese sulle Alpi l'Italia, alla nostra dignità nazionale (che molti ancora sentiamo, soffrendo delle non rare mortificazioni che il nostro Paese subisce nei rapporti con altri Stati).
    E' del pari un insulto ad idee che possiamo non dividere o combatere (la fiducia in un comunismo od ultracomunismo, maoismo, che renda più felici gli uomini, anche togliendo loro un po' di libertà) parlare di delitto politico a proposito di assassinii come quello del giovane Ramelli.
    In effetto i comunisti hanno preso le loro distanze e nel loro giornale scrivono di "teppisti assassini"; le distanze le prende anche il movimento sociale in caso di delitti. Chi scrive non voterà mai petizioni per la messa fuori legge del msi, perchè ritiene lesiva della regola di libertà, e precedente pericolosissimo, possibile boomerang, la messa fuori legge di un partito; ma deve riconoscere che i comunisti hanno sempre tenuto fuori delle loro liste elettoriali, quelli che, a trent'anni dalla fine della guerra credono di poter continuare nella violenza; ed il msi qualche facinoroso lo ha accolto.
    Può fare qualcosa lo Stato? Non molto, ma qualcosa sì. Non divido i pudori di chi pensa che perquisire da parte di autorità dello Stato o prendere le impronte digitali sia un attentato alla dignità dell'uomo. Il porto d'arme è sempre in vigore, ci sono sempre, e spero non debbano essere abrogate, le norme che dicono quali siano le armi proibite.
    Non si può concedere di girare con sbarre di ferro, deve lasciarsi alla polizia di discenere dove ci sono ragazzi che giocano e dove una banda in attesa di nuocere, e in questo caso di accertarsi se portino armi o pugni di ferro o mezzi di offesa.
    E la scuola deve tornare ad essere quella che era, quando apprendeva anzitutto a convivere, a rispettarsi gli uni con gli altri; come non si consente all'esercenti di un pubblico locale ad un negoziante, di rifiutarsi di vendere a chi abbia una certa opinnione politica, così non si può permettere a studenti d'imporre l'allontanamento dalla scuola di chi professa quale idea sia, ma non lede nè insulta.
    Tanti pericoli di mali e minacce gravano sul nostro Paese; non possiamo accettare tutto, tollerando che si trasformi in una giungla.

 

 
 
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