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Non mi hanno dato il tempo

Non mi hanno dato il tempo, un dramma teatrale sulle vittime degli opposti estremismi

Note di Regia |  Rassegna stampa | Genesi | Materiale Multimediale

"Non mi hanno dato il tempo" nasce soprattutto per la lodevole iniziativa di un gruppo di parenti di vittime dell'odio politico negli anni '70 - parenti di vittime sia di destra che di sinistra. Questi familiari, che costituiscono per altro la larga maggioranza dei parenti delle vittime dell'odio politico negli anni '70, hanno da tempo deciso di vivere il ricordo dei loro cari unitariamente e, pur nel rispetto dell'alterità degli ideali che i loro cari hanno vissuto fino alla morte, hanno iniziato tuttavia un processo di condivisione del ricordo e di superamento di quelle contrapposizioni viscerali e di quelle strumentalizzazioni di parte che in passato hanno sovente caratterizzato il modo con cui si affrontava il tema dei caduti per l'odio politico.

L'associazione si è rivolta a Paolo Bussagli per la scrittura e la messa in scena di un testo teatrale che avesse appunto come tematica centrale proprio il ricordo di questi ragazzi.

Ne è risultata un'opera complessa e intrigante. "Non mi hanno dato il tempo" è un dramma in 13 scene, per 6 attori; non è solo un'opera che commemora il ricordo di quei ragazzi caduti. E' anche e soprattutto un tentativo di analisi della crisi civile e morale che ha colpito l'Italia di quegli anni e delle conseguenze di tale crisi che tuttora permeano la nostra società.

Il testo ha una trama molto semplice: è la storia di un gruppo di persone, che vivono al nostro tempo e nelle nostre contraddizioni, e che si trovano casualmente riuniti in una attesa estenuante in una stazione ferroviaria. Fra questi, alcuni appartengono a parti politiche opposte e costoro, attraverso tensioni e difficoltà di ogni tipo, riescono a far nascere un percorso comune, un percorso di comprensione reciproca e di condivisione: un percorso che non è il superamento delle proprie posizioni ma semplicemente la scoperta dell'altro, con i suoi errori, con i suoi dolori e con i suoi valori. A quel punto i personaggi cessano di essere veri e propri personaggi e divengono memoria tragica di un dramma e di un epos comune, vera e propria unità coreutica della memoria nazionale fino alla presa di coscienza finale: il valore della memoria: solo la memoria ci salva dalla continua distrazione e dalla continua depauperazione del nostro tempo. Una memoria quanto mai viva perché è la memoria di ragazzi uccisi a causa dei loro ideali, in un tempo in cui ancora gli ideali avevano dignità e diffusione.

L'opera affronta il difficile tema evitando facili suggestioni buoniste o peggio ancora commemorative. Ci si immerge invece nelle condizioni storico culturali, nel clima che consentì la nascita di quell'orrore: al centro di tutto il clima di colpevole latitanza di tanta parte dello Stato nei confronti degli omicidi a carattere politico. Latitanza che è testimoniata dalle statistiche che tuttora causano sgomento nello studioso che prende atto della gran quantità di crimini impuniti che vennero perpetrati in quegli anni, a destra e a sinistra. Questa sostanziale latitanza aveva due conseguenze, entrambe nefaste: da un alto garantiva l'impunità agli assassini, eliminando quei freni che la proporzionata punizione da sempre oppone alla violenza; dall'altro innescava non di rado vere e proprie spirali di giustizia "fa di da te" per cui la violenza finiva per generare a sua volta violenza. Accanto alla latitanza dello Stato c'è quella del mondo culturale, con i veri maestri di pensiero messi all'angolo e le sedi universitarie e i giornali invasi da propagandatori dell'odio e della violenza, da propugnatori di forme di demonizzazione dell'opposta fazione politica che di fatto divenivano vere e proprie forme di sottile razzismo e discriminazione.

Il quadro che si ottiene è quello di un panorama devastato, con un clima di odio diffuso, in cui aggredire era facile e remunerativo e in cui quasi sempre gli aggrediti erano gli inermi, tutti quelli che non sapevano difendersi e soprattutto quelli che non volevano difendersi e che rifiutavano i percorsi di odio e di discriminazione che quegli anni invitavano a perseguire. Costoro rifiutavano di misconoscere l'umanità dei loro avversari per cui si rivolgevano ad essi inermi, alla ricerca di un contatto e di una umana comprensione e, proprio per questo, finivano spesso per porsi come naturali prede di quella violenza, di quella discriminazione e di quell'odio. E' un panorama devastato in cui a cadere sono i migliori e che è anche alla base dell'attuale crisi morale, di quel vuoto di valori oggi lamentato da tante parti. Avviene così che il recupero della memoria delle vittime di quegli anni per noi finisce per porsi anche e soprattutto come un'occasione per il recupero dei nostri valori più veri e profondi

"Non mi hanno dato il tempo" è la frase pronunciata da Claudio Miccoli sul suo letto di ospedale, poco prima di morire. Così egli cercava allora di spiegare la sua situazione, la situazione di un giovane intervenuto per far cessare la violenza e rimasto egli stesso vittima di quella violenza. Questa frase è esemplificativa della situazione di tuti quei ragazzi. A nessuno di quei ragazzi è stato dato il tempo di crescere, di vivere e di mettere a frutto la loro vita e i loro ideali. Eppure i loro ideali parlano ancora. Parlano con voci diverse: la voce di Ramelli, quella di Zicchieri, quella di Falvella sono diverse dalle voci di Miccoli, di Tinelli o di Petrone; sono molto diverse; e tuttavia tutte queste voci ci parlano di una umanità che crede nei propri ideali e che fa in modo che questi ideali non offendano né i propri valori né quelli altrui. Per noi, uomini di un tempo in cui pare così difficile credere a qualcosa, queste voci sono preziose. Questo è, in poche parole, il nucleo culturale e morale di "Non mi hanno dato il tempo".

"Non mi hanno dato il tempo" verrà presentato in prima nazionale a Roma nel Febbraio del 2011.


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