Note su "Pensieri Gobettiani"
Chi era Piero Gobetti? In primo luogo un
personaggio straordinario, meteorico: nato a Torino nel 1901
morirà a Parigi nel 1926. In questi 25 anni egli riesce a
segnare, con la sua poliedrica figura, la cultura dei suoi
anni; critico letterario e teatrale, teorico e osservatore
politico di finissima capacità, editore - fu peraltro il
primo a pubblicare "Ossa di seppia" di Montale -, fonderà
una rivista, "Rivoluzione Liberale", destinata ad avere un
ruolo fondamentale nell'opposizione al fascismo. Intorno ad
essa si raccoglierà il fronte più intransigente della
secessione Aventiniana. La piccola rivista "Rivoluzione
Liberale", una rivista da intellettuali, con una scarsa
diffusione, giungerà tuttavia a preoccupare fortemente le
autorità, che ne chiederanno più volte il sequestro... lo
stesso Mussolini fu autore di un noto telegramma in cui egli
chiedeva di far tacere quell'"insulso oppositore" ...
Gobetti è particolarmente interessante come interprete del
fascismo. Da Gobetti prende le mosse una tra le
principali correnti
interpretative, quella che vede il fascismo come fatto
eminentemente nazionale, italiano. Secondo questo filone
interpretativo il fascismo è il necessario compimento e
realizzazione di condizioni preesistenti ad esso: dietro a
questa interpretazione sta l'idea che la democrazia italiana
sia nata e si sia sviluppata in modo imperfetto. Tuttavia è
pericoloso incasellare Gobetti in questo filone
interpretativo che da lui si diparte ma che, col tempo, ha
finito per significare qualcosa di completamente diverso da
quanto egli sosteneva.
Difatti esistono due aspetti rimarchevoli
nell'interpretazione del fascismo di Gobetti che lo pongono
che lo pongono decisamente "fuori dal coro" e in stridente
contrasto con la "vulgata resistenziale" del fascismo.
L'antifascismo di Gobetti è "istintivo" perché, secondo lui
il fascismo è negazione della dialettica democratica.
Tuttavia cos'è la dialettica democratica, per Gobetti? Come
egli esprime in modo indiscutibilmente chiaro ne "La nostra
fede" la dialettica democratica non è il luogo della
discussione pacata, fatta solo di indifferenza e di
tolleranza distratta; è piuttosto il luogo davvero
dialettico e anche feroce dello scontro delle opinioni.
"Democrazia", per Gobetti, non è semplicemente rispetto
delle opinioni altrui o difesa della legittimità di ogni
forma di pensiero. E' indubbiamente questo, perché laddove
non vi è rispetto di ogni forma di pensiero non può esservi
democrazia. Ma, affinché esista la democrazia deve esistere
partecipazione vera: laddove vediamo apatia, indifferenza,
accettazione passiva non può esservi democrazia; la
democrazia deve essere sostenuta sempre da una ferrea
determinazione di coerenza rispetto alle proprie idee. Solo
questo consente alle idee di "scontrarsi" e divenire vera
dialettica. Insomma, secondo Gobetti la "Democrazia" è fatta
da due cose:
1)- Tolleranza e rispetto delle opinioni altrui
2)- Assoluta coerenza rispetto alle proprie idee.
Il fascismo secondo Gobetti non è antidemocratico perché
"intollerante": Gobetti, fedele testimone di quegli anni
vedeva continuamente il triste spettacolo della violenza
politica compiuta dall'una e dall'altra parte e certo non
faceva gran differenza tra l'intolleranza dei fascisti,
quella dei cattolici e quella dei marxisti. La ragione per
cui il fascismo non è democratico, per Gobetti, va ricercata
nel fatto che esso riguarda con troppa disinvoltura la
questione della coerenza. Insomma ciò che non va, nel
fascismo, non è tanto la violenza - che da sempre larga
parte dell'antifascismo ha visto come elemento saliente, per
non dire identificante del fascismo - ciò che non va, nel
fascismo è piuttosto il fatto che esso genera una unanimità
consenziente, una dimensione in cui tutti sono daccordo su
tutto e in cui, di fatto, si rinuncia alla dialettica
democratica vera e propria:
[...]il fascismo è stato qualcosa di più; è stato
l'autobiografia della nazione. Una nazione che crede alla
collaborazione delle classi; che rinuncia per pigrizia alla
lotta politica, è una nazione che vale poco (da l'
"ELOGIO DELLA GHIGLIOTTINA")
L'opposizione Gobettiana al corporativismo
fascista nasce proprio dall'idea che la contrapposizione
dialettica, e al limite lo stesso conflitto, siano elementi
indispensabili al progresso di una società moderna:
Privi di interessi reali, distinti, necessari gli
Italiani chiedono una disciplina e uno Stato forte. Ma è
difficile pensare Cesare senza Pompeo, Roma forte senza
guerra civile. Si può credere all'utilità dei tutori e
giustificare Giolitti e Nitti, ma i padroni servono soltanto
per farci ripensare a La Congiura dei Pazzi ossia ci
riportano a costumi politici sorpassati.(da l' "ELOGIO
DELLA GHIGLIOTTINA")
Fuori da ogni retorica Gobetti è
istintivamente antifascista perché crede che non vi sarà
progresso alcuno mediante il fascismo; non è antifascista
perché il fascismo "irreggimenta le persone", le "inquadra",
le violenta: è antifascista perché il fascismo addormenta il
paese; perché il fascismo, secondo Gobetti non funziona...
Gobetti sembra intuire i caratteri salienti del fascismo
prima ancora che essi vengano fissati in un corpus
dottrinario definito: il fascismo che aborre il "pensiero
pensato", che esalta solo il "pensiero pensante", che
considera idee e principi come ipostatizzazioni che limitano
la libertà e il coraggio del fascista è, di fatto, un
fascismo che esalta l'incoerenza come un valore: vivere
pericolosamente, senza sentire il bisogno di obbedire a
schemi precostituiti. La mistica fascista del coraggio,
dell'uomo che non ha bisogno, per vivere, della sicurezza
garantita da un coerente insieme concettuale di valori e di
principi trae giustificazione da una negazione del carattere
oggettivo delle idee e dei valori: al primo posto si colloca
l'individuo, la sua libertà assoluta, il suo potere
creativo. Questa esaltazione della incoerenza, che altrove
ho chiamato "incoerenza virtuosa" (Il Gobetti,
dicembre 2000) sembrava trovare giustificazione e rinforzo,
negli anni 20-30 dal clima rivoluzionario che attraversava
l'intera cultura occidentale e segnatamente la scienza
(si pensi alle interpretazioni relativiste o
all'interpretazione di Copenaghen nella fisica). E in
effetti "l'incoerenza virtuosa" fu una pratica costante del
regime: senza di essa non si comprende perché il
totalitarismo fascista fu sempre imperfetto, scarsamente
efficace e non si comprende come il fascismo abbia potuto
passare da una impostazione razziale di tipo imperialista ed
etnocentrico a una segregazionista (oggi siamo tutti
convinti che sia l'imperialismo etnocentrico che il
segregazionismo razziale siano due cose ugualmente brutte;
tuttavia esse obbediscono a principi assolutamente opposti:
per l'imperialismo etnocentrico le culture e le razze
diverse devono essere assorbite, a costo dell'annientamento
dei loro caratteri culturali; per il razzismo
segregazionista le razze non sono emendabili e nessuna
integrazione è possibile).
Esiste tuttavia un altro aspetto che dovremmo considerare,
nel valutare la sua interpretazione del fascismo:
quest'ultimo non è un accidente nella nostra storia: per
Gobetti il fascismo è l'autobiografia della nazione,
qualcosa che non poteva non essere, qualcosa che nasce nel
nostro stesso corpo... di nuovo siamo del tutto fuori da una
certa retorica antifascista secondo cui il fascismo fu
l'occasionale presa del potere da parte di uno sparuto
gruppo di persone che si impose al paese con la
violenza..... una retorica che fu certo il segno di un
errore propagandistico dei fuoriusciti già negli anni trenta
e che poi, per ragioni anche in parte legittime - legate
alla credibilità in politica estera dell'italia del
dopoguerra - si è voluto imporre a tutti i costi. Quando i
governanti italiani del dopoguerra parlavano agli alleati o
all'Unione Sovietica essi dovevano, in un certo qual
modo fare propria e imporre quella visione retorica proprio
al fine di convincere i vincitori recalcitranti a offrire
migliori condizioni di pace e maggiori aiuti economici al
nostro paese.
Ma le astuzie diplomatiche possono risultare utili sul piano
dei rapporti internazionali, non certo su quello della
comprensione storica. Leggendo Gobetti non si può fare
a meno di pensare che il fascismo, anziché essere superato
sia stato semplicemente rimosso dal paese; che in qualche
modo esso alligni ancora nelle nostre carni, nel nostro
sangue.
Al riguardo vale la pena di notare come l'interpretazione
delineata (il fascismo come "incoerenza virtuosa") contrasta
in modo lampante con certe recenti valutazioni del fascismo,
che colgono un momento particolarmente rivelatore nei mesi
della Repubblica Sociale: alludiamo principalmente alla
distinzione tra fascismo-movimento e fascismo-regime,
particolarmente cara a De Felice, secondo cui la vera anima
del fascismo sarebbe più facilmente individuabile negli anni
di Salò, in cui riemergerebbero gli aspetti più salienti del
fascismo-movimento. Al contrario, nell'interpretazione su
delineata, Salò, con il suo atteggiamento di ardua coerenza
e di intransigenza sembra qualcosa di strutturalmente
diverso dal fascismo stesso.
Paolo Bussagli
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