Archivio Sergio Ramelli

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Il Corriere della Sera, 23/4/1987

Quegli anni di odio contro noi Ramelli

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Al processo di Milano l'accorata testimonianza della madre del giovane neofascista ucciso
"Quegli anni di odio contro noi Ramelli"

"Sergio aveva le sue idee e non le nascondeva, ma non era violento, fu preso di mira dagli avversari politici" - Il delitto, l'agonia, la morte, la telefonata di insulti dopo i funerali - Tutta la famiglia ed i vicini coinvolti nell'assurda persecuzione: minacce ed intimidazioni anche al figlio maggiore Luigi costretto ad allontanarsi da casa.
 

MILANO - E' stata una vigilia interminabile, di inquietudine e di pena. Dice l'avvocato Ignazio La Russa: "Da quarantott'ore non sa più che cosa fare. Non dorme, piange, ride un riso nervoso. Adesso è nel mio studio, a due passi dal "palazzaccio". Verrà quando il presidente della Corte la chiamerà". E' il giorno della testimonianza di Anita Ramelli, che dovrà scavare nell'animo e nel cuore, fra le immagini convulse di un'aggressione e di una morte: la morte di un figlio, che, allora, aveva 18 anni. L'aula è colma, come nei grandi appuntamenti. Schiere di cronisti. Troupes televisive.
    Toghe svolazzanti. Cespugli di fotografi con gli obiettivi puntati. Pubblico oltre le transenne. Giovani "camerati" in jeans e giubbotti. Il MSI Ha spedito i suoi volti più rappresentativi, e l'onorevole Servello si assume il compito di premuroso cerimoniere.
    Eccola, "Mamma Ramelli", che sbuca dalla porticina laterale. Il viso tirato, gli occhi protetti dalle lenti fumè. Non guarda la gente, non guarda verso la porta degli imputati. C'è Marco Costa, c'è Giuseppe Ferrari Bravo, che sprangarono Sergio in Via Paladini, quel dannato 13 marzo del 1975. Ci sono quelli del commando che fecero da "pali", tranne Scazza e Claudietto Colosio. Qualcuno, pallido, abbassa la testa. Anita si raggomitola sulla sedia, davanti alla Corte. Un attimo di silenzio, che pare senza fine. Il presidente Consumano, si schiarisce la voce e quasi sussurra: "Signora, io vorrei non farle domande. Non è un momento facile, né per lei, né per noi. Però sono costretto. Serve al processo. Serve per capire di più ".
    Anita si fa forza. "Lui non amava la violenza, non era un ragazzo violento ". Le parole giungono tenui, remote. La cancelleria le avvicina il microfono alle labbra. "Aveva le sue idee e non le nascondeva. E' stato preso di mira dagli avversari politici. Calci, sputi. Ma Sergio minimizzava, non voleva allarmarci, metterci in apprensione". Affiorano i giorni delle intimidazioni fra i banchi del Molinari. A scuola aveva subito due "processi". "Fu anche costretto a cancellare delle scritte sui muri L'ultimo anno è stato il più pesante. Sempre picchetti, non poteva seguire le lezioni". La famiglia decise di ritirarlo dal Molinari e di iscriverlo in un istituto privato. "Andò a prendere il nulla-osta lo accompagnava suo padre. Nel corridoio fu inseguito ed aggredito. Cadde, si alzò di nuovo in piedi, e riuscì a rifugiarsi
in segreteria".
    Pensavano che, con l'addio al Molinari, tutto sarebbe finito. Non fu così. Cominciarono le scritte ossessive. Sotto casa, in via Amadeo, in viale Argonne. "Ramelli fascista, sei il primo della lista". Arrivarono un paio di telefonate: dall'altra parte del filo, nessuna voce, ma le note di "Bandiera Rossa".  Sergio diceva "Non può capitare niente, non faccio nulla di male". Invece .". Quel giorno di marzo, Anita era andata a prendere a scuola Simona, in viale Romagna. "Simona aveva nove anni Arrivò e il "Ciao" è a terra I capanelli Una gran confusione Il "Ciao" Sergio non aveva avuto il tempo di incatenarlo   una signora mi strappa di mano Simona e grida: "la bambina sta con me". La stanza del Policlinico, il coma, un mese e mezzo di agonia, e la speranza che non si spegne. "Muoveva appena la mano sinistra,
non avrebbe mai più parlato  Però capiva, capiva la mia disperazione. Una volta gli chiesi: "ti duole la testa?". Lui rispose con un gesto, che significava no". La crudeltà non si ferma neppure il pomeriggio del funerale. "Verso le sette di sera la prima telefonata di insulti. Mio marito diceva: "Non rispondiamo". Ma loro continuavano per ore ed ore. Chiamavano i vicini di casa: "Conoscete i Ramelli?". I vicini dicevano: "Sì, brava gente". Gli ignoti interlocutori inveivano con frasi cattive. I vicini, queste cose, me le hanno riferite più tardi Noi cambiammo il numero telefonico".
    Anche Luigi, il fratello di due anni più grande, fu minacciato e perseguitato. "Una mattina tornava dall'ospedale in taxi. C'era lo sciopero dei pullman. Si arresta sotto casa e, mentre paga la corsa, vede un gruppo che si stacca da un angolo della strada. Lui corre nell'atrio e perde pure il portafoglio. Lo inseguono, ma si bloccano in portineria. Intimano al portiere che il manifesto non deve essere tolto". Nel manifesto era scritto: "Luigi Ramelli Fascista 48 ore per sparire altrimenti farai la fine di tuo fratello Sergio". Anita ha un singhiozzo, un accenno di pianto. S'interrompe, riprende con coraggio: "Luigi fu costretto ad andarsene".
    Undici anni dopo, quando la verità era ormai venuta alla luce, gli imputati inviarono alla madre di Sergio una lettera di pentimento. "Non avevamo nulla di personale contro suo figlio, non lo avevamo mai conosciuto né visto. Ma come troppo spesso accadde in quel periodo, il fatto di pensare in modo diverso automaticamente diventava causa di violenza gratuita ed ingiustificabile. Nessuno di noi, però, aveva l'intenzione e neppure il sospetto che tutto potesse finire in modo così terribile. Oggi riteniamo profondamente sbagliato, anzi, inconcepibile, dirimere le differenze tra i diversi modi di pensare con la pratica della violenza".
    Più tardi, ad Anita è stata recapitata una raccomandata con un'offerta di risarcimento. "L'ho letta ed ho tanto sofferto ". Lei ha rifiutato, non vuole soldi. "Voglio solo che la giustizia vada avanti". Il presidente non chiede altro. Il pubblico ministero e gli avvocati difensori degli imputati restano in silenzio. Il "grazie" di Consumano non è un grazie di circostanza e di educazione, ma di profondo rispetto per il dolore di una madre.

Fabio Felicetti
 

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