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Il Corriere della Sera, 31/3/1987

Ramelli, un episodio disgraziato...

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La deposizione di Claudio Colosio al processo contro i presunti assassini dello studenti
"Ramelli, un episodio disgraziato..." Gelida testimonianza del compagno 'Prezzemolo'
L'ex di Avanguardia Operaia, racconta: "Dalla Tv seppi del ragazzo..." - In facoltà: "C'è un fascista, bisogna dargli una passata" - A un altro agguato partecipò in disparte: "Volevo vedere"

Milano - Ha pronunciato una sola volta il nome di Ramelli, per qualificare "disgraziato episodio Ramelli", la pagina nera di un'aggressione e di una morte. Nel lungo interrogatorio, ha sempre preferito chiamarlo "il ragazzo". "Qualcuno ci mostrò la foto del ragazzo..".
    "Non vidi il ragazzo arrivare in sella al motorino..". "Dal telegiornale della notte appresi delle condizioni del ragazzo...". Claudio Colosio si addentra nelle pieghe di un racconto con voce ferma, senza pause né cedimenti emotivi. Del suo passato di militante a tempo pieno, della sua carriera di ex "quadro. di Avanguardia Operaia, conserva ancora venature in un linguaggio da iniziati. Gli anni, dodici anni, hanno forse offuscato immagini e lineamenti. Sono tanti i "non ricordo", i "mi pare", i "sinceramente non rammento". Quel 13 marzo si reca in facoltà, come ogni mattina. "Si viveva lì, si mangiava lì, un panino e via". C'è una riunione intergruppi. Roberto Grassi, che è responsabile del servizio d'ordine di Città Studi, convoca la squadra di medicina. "C'è da fare una cosa, dice. C'era Marco Costa, e penso tutti gli altri. Una persona fa circolare la fotografia del ragazzo. Forse Grassi, può darsi una donna. Non la Colombelli, che io conoscevo molto bene". Grassi precisa: "C'è un fascista, bisogna dargli una passata".
    S'incamminano verso il luogo dell'agguato. "Lungo l'itinerario incontrammo Luigi (Montinari n.d.r.). Era più grande dl me e mi dava coraggio. Mi affianco a lui". Si fermano in via Paladini. In istruttoria, Colosio ha spiegato come il commando era disposto: lui e Montinari davanti a una vetrina; Scazza e Costantini sul lato opposto; Castelli e Belpiede in un altro angolo; Ferrari Bravo e Costa entrano in strada pronti a colpire. Ora l'imputato insinua l'ombra del dubbio. "Ho detto che c'era Antonio (Belpiede n.d.r.), con un cappotto blu e una sciarpa bianca. A me pare che ci fosse, ma non ne sono certo. Nel ricordo posso aver vestito Antonio con gli abiti di Ferrari Bravo".
    Colosio non sa che cosa deve fare e ignora quale sta il suo compito. Non si "scolla" da Montinari, e basta. "Non vedo il ragazzo giungere con il motorino. Non odo le grida. Forse, a ripensarci, sento soltanto un rumore metallico, il rumore di qualcosa che cade a terra. Montinari dà una gomitata a Colosio. Vedo Costa e Ferrari Bravo correre... Ci allontaniamo... Non ricordo che qualcuno ci abbia inseguito in macchina.. Forse udii un urlo: 'l'autobus, l'autobus"'.
La squadra si ritrova nell'aula di biologia. Colosio rimane in facoltà tutto il giorno. La sera, andai a cena da amici. Ero con la mia fidanzata, che, più tardi, è diventata mia moglie. Fu una serata allegra, fino a un certo momento... Fino a quando ascoltammo il telegiornale. Parlava del ragazzo in coma. Ricordo che ero seduto sulla moquette. Allora si usava accovacciarsi sul pavimento. Di colpo sono bianco come uno straccio. Mi chiedono: 'Stai male?' Io: 'No, nessun problema'. Per un istante penso che il ragazzo di cui lo speaker parla non sia il nostro ragazzo...". 
       Da poco, Colosio era nel servizio d'ordine di A.O. Non era un "'soldato" della prima ora, e il suo passato di qualunquista, nella stagione del liceo, in principio suscitò qualche diffidenza. Approdò all'università nel '74, "un po' disorientato". Cominciò a simpatizzare per il Cub e a impegnarsi, sul fronte del "no", nella campagna per il referendum sul divorzio. 'Quell'estate ebbi una vacanza bellissima a Santa Maria di Leuca, con trenta-quaranta compagni. Ci raggiunse la notizia dell'attentato all'Italicus. Telefonammo a Milano per chiedere se fosse necessaria la nostra presenza. Ci risposero: 'State pure lì'. Dibattemmo tanto fra noi, una specie di seminario permanente".
    All'inizio del'75, è nel servizio d'ordine. "Era un grosso correre e muoversi.., i cortei, le manifestazioni. Il clima di allora era diverso dal clima di oggi. Erano i giorni dell'Italicus, della strage di Brescia. Era in corso la campagna per mettere fuori legge il Msi. Era un combattere le iniziative degli avversari...".
    Dopo la fine di Sergio Ramelli, Claudio Colosio continua la militanza, "anche se la modificò in base a fatti nuovi che avvengono nell'organizzazione". Lavora senza sosta: nel quotidiano di A.O., nella commissione scuola. Non diserta un'assemblea, un dibattito. E' uno dei "compagni" più noti e più in vista a Città Studi, e lo chiamano "Prezzemolo". Promotore, coordinatore, militante instancabile e quadro intermedio. All'assalto al bar in largo Porto di Classe, punto d'incontro dei 'fasci', lui assiste a distanza, senza sapere di che tipo di azione si tratti, nè chi l'abbia ordinata. "Vedo un grosso parapiglia... Io vado verso il supermercato di viale Argonne... Mi giro, il fumo esce dal bar".
L'avvocato di parte civile chiede; "Perché lei andò?' Colosio risponde con due parole secche: "Volevo vedere".
Fabio Felicetti

    
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