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La Repubblica, 1/4/1987

Solo la verità fa giustizia

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Cronaca Milano

Walter Cavallari, uno degli imputati, ha fatto nomi e cognomi di chi decideva
e per "deduzione" ha tirato in ballo Basilio Rizzo oggi consigliere comunale

Solo la verità fa giustizia. Al processo Ramelli si interrompe il "non ricordo" 

 "La ringrazio, Cavallari. La ringrazio di aver interrotto con questa sua dichiarazione la prassi di scaricare tutto su chi non c'è più", dice il presidente della corte di Assise, Antonino Cusumano. Cusumano è un giudice che non fa mai la voce grossa, ha sempre un sorriso di incoraggiamento per gli imputati alla sbarra, ama le battute scherzose che servono ad allentare la tensione. Ieri mattina, pero, il "ringraziamento" a Walter Cavallari, uno dégli imputati dell'omicidio Ramelli, non era una battuta: Cavallari era stato il primo a dire chiaro e tondo che l'"anima nera" dell'agguato a Ramelli, colui che aveva deciso la "passata" allo studente del Fronte della Gioventù, non era stato il solo Roberto Grassi, responsabile del servizio d'ordine a Città studi, morto tre anni fa suicida.
    "Ogni capo aveva un vice: il vice di Grassi era Giovanni Di Domenico, 'Gioele'. Proprio Gioele tempo addietro mi aveva affidato un'azione contro uno studente di destra, a Farmacia, e qualche giorno prima del 13 marzo mi aveva annunciato che la mia squadra era stata incaricata dell'agguato a un ragazzo del Fronte della gioventù. Gli risposi che proprio non me la sentivo". Di Domenico, quindi, che ha sempre negato ogni responsabilità nell'agguato per la prima volta in udienza è stato citato come uno dei mandanti" dell'azione punitiva. Il suo nome, comunque, compare ampiamente in istruttoria.
    Ma Cavallari ha fatto anche un altro nome: quello di Basilio Rizzo, attuale capogruppo di Democrazia proletaria al Comune di Milano. Rizzo è stato citato solo "per deduzione": "Dopo il fatto, sicuramente Grassi riferì quello che era successo all'istanza superiore, che in questo caso era rappresentata da Basilio Rizzo, responsabile politico di Ao a Città studi".In sostanza, Walter Cavallari ha sostenuto che se a decidere l'agguato era stato Grassi, magari insieme a Di Domenico, dopo la tragica conclusione dell'azione fu messo al corrente dei fatti anche il capo politico della zona, e cioè Basilìo Rizzo.
    La deposizione di Cavallari, un medico di 36 anni con il viso largo e bonario, è stata molto sofferta: "Il nostro ruolo di imputati non può cercare giustificazioni, ma solo cercare la verità, unico, anche se minimo, risarcimento possibile alla signora Ramelli", ha detto in apertura. Cavallari, di formazione cattolica, ha le prime esperienze politiche generiche al Sesto liceo scientifico e, una volta iscritto a Medicina, "si schiera". Prima il cub, poi Ao. In occasione di un presidio antifascista rimane coinvolto in un pestaggio. Lui non c'entra, ma finisce lo stesso a San Vittore.
    Cavallari, matricola di Medicina, diventa responsabile del nascente servizio d'ordine: "Era un premio alla mia militanza, e una conseguenza del fatto che avevo molto tempo disponibile". Forse e proprio per "saggiare" la sua "tenuta" che gli viene proposta una specie di "battesimo": picchiare uno di destra al- armacìa. Cavallari ubbidisce, gli dà due o tre volte la chiave inglese in testa, ma l'altro non cade neanche, in compenso, Cavallari viene preso dal panico, scappa, rischia di essere investito da un'auto...: "Avevo fallito, io, militante d'acciaio. Non era proprio quella la mia strada. L'anno successivo non rinnovai la tessera ad Ao e andai a lavorare in un piccolo comitato di quartiere". All'epoca dell'agguato a Ramelli, Cavallari non è già più caposquadra: la consegna passa a Marco Costa. Cavallari si chiama fuori: gli altri pensano che la ragione sia quella disavventura che l'aveva fatto finire in galera, ma in realtà Cavallari odia la violenza e la spranga. E si defila. Sotto casa Ramelli non ci va. Del 13 mano ha ricordi confusi. Si rammenta l'arrivo della squadra in un'aula di Agraria, ma gli altri sostengono che sì trattava dell'auletta di biologia a Medicina. Partecipa però sicuramente a un paio di riunioni successive, durante le quali si discute su quale atteggiamento tenere davanti alla gravità dell'episodio Ramelli. Poi, mano a mano, si allontana dal gruppo e dalla politica. Quando viene scoperto l'abbaino di viale Bligny pieno di schede "antifasciste", cosa ha pensato, Cavallari?, gli chiede il Pm. "Ho provato stupore, Dio mio, dove ero andato a finire...".
    In mattinata, al processo ieri era stato sentito anche Franco Castelli, uno dei "pali" dell'agguato a Ramellli, ma la sua deposizione non ha fornito alcun elemento significativo.

Enrico Bonerandi

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