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L'Unità, 31/3/1987

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Al processo continuano gli interrogatori
"Quel giorno decidemmo di dare una passata al fascista Ramelli"

Il racconto di Claudio Colosio - Responsabilità politiche - Dall'autodifesa per gli assalti dei 'neri' alla fase delle aggressioni

MILANO - Bisogna arrivare alla sesta udienza, e al quarto imputato, perché il processo Ramelli accenni ad uscire dal terreno paludoso delle contrizioni personali per tentare di affrontare l'impegnativo discorso delle più ampie, e pesanti, responsabilità politiche. Il merito va riconosciuto a Claudio Colosio, 34 anni, anche lui medico come i suoi colleghi sfilati sino a questo momento, anche lui studente di quella metà degli anni Settanta segnata dalle "violenze di piazza", e non solo da quelle.
    "Ero in vacanza con amici a S. Maria di Leuca quando fummo raggiunti dalla notizia della strage dell'Italicus, racconta. Fu allora che mi sentii spinto ad una militanza più attiva". Entra nelle file di Avanguardia operaia, poi nel servizio d'ordine ("veniva proposto a tutti i militanti maschi, e a parecchie donne"). È la fine del '74, un brutto momento: la logica della difesa contro gli assalti fascisti sta cedendo il posto a quell''antifascismo militante', e l'aggressione a Ramelli con il non voluto e non previsto esito mortale. Questo tipo di episodi si stava purtroppo diffondendo. Nell'ambito della campagna per il Msi fuorilegge si affermava la logica di controbattere il tipo di iniziativa che gli avversari stavano portando avanti". E infatti, alla fine di una riunione intergruppo di militanti di sinistra, Roberto Grassi, responsabile dei servizio d'ordine di Città studi, comunica che "c'è da dare una passata a Sergio Ramelli, un fascista conosciuto per il suo impegno contro le sinistre". Nella spedizione, Colosio avrà un ruolo di palo e - non si renderà conto della gravità di quanto sta accadendo. Lo apprende la sera, dal Tg che parla di un ragazzo in coma. È lui, a sentirlo, impallidisce tanto che la sua fidanzata gli chiede se si senta male.
    Chi ha preso la decisione della spedizione contro Ramelli? E una delle domande centrali di questo processo, e finora tutti gli imputati hanno risposto che a loro del servizio d'ordine, l'ha comunicata Grassi, che forse l'ha ricevuta dall'alto. Colosio dice: "Potrebbe proprio averla presa lo stesso Grassi. Era una decisione operativa, di attuazione di una linea politica. C'era una struttura verticale, cellula, sezione, direttivo centrale, che definiva la linea politica, e ce n'era una orizzontale costituita dalle istanze periferiche, cui toccava di attuarla. Ramelli doveva essere una cosa da poco, di quelle che si decidono a livello periferico". Non così la scelta dell'"antifascismo militante" una linea politica "sicuramente decisa dal direttivo centrale".
    La considerazione vale, con certezza anche maggiore, per quell'assalto in forze contro il bar Porto di classe, nel quale 7 persone verranno ferite, anche gravemente, e il locale andrà distrutto. Non ci sono morti, a Porto di classe, e per questo appare come un episodio "minore" rispetto all'omicidio. Per la prima volta ieri però quella spedizione punitiva ha assunto i suoi contorni e il suo reale rilievo.
    Non c'è nulla di improvvisato. Si distribuiscono chiavi inglesi e si confezionano bottiglie incendiarie, si definiscono i ruoli, si prevedono anche i possibili feriti, e infatti ai militanti di medicina è assegnato il compito di soccorrerli. La vecchia Ao, quella del "servizio d'ordine difensivo", questa volta è alleata con i Caf, Comitati antifascisti, noti per la loro violenza e proprio per questo considerati fino a quel momento piuttosto avversari che amici. Insieme, mettono in campo un centinaio di persone.
    Colosio, che nel frattempo aveva lasciato la militanza di base per divenire un quadro intermedio, scriveva per il Quotidiano dei lavoratori e teneva i rapporti con la neonata Democrazia proletaria, dice di essere stato tagliato fuori da questo avvenimento, di esserne stato avvertito in modo indiretto, e di avervi assistito come osservatore, senta parteciparvi. "Sull'episodio specifico - dice - non ho un'opinione sicura. Posso solo dire che una decisione così importante e cosi carica di significati come l'alleanza con i Caf non poteva essere assunta che a livello dirigenziale". "Che cosa intende per dirigenziale" chiede il presidente Cusumano. "Cittadino? Provinciale? Nazionale?". "Forse solo cittadino". "E quali erano i responsabili cittadini?" "Per i Caf non so; per Ao era Saverio Ferrari". L'esponente Dp, infatti, proprio per questo episodio figura tra gli imputati di questo processo.
    Prima di Colosio, Ferrari Bravo aveva ancora preso la parola per concludere la sua deposizione iniziata la settimana scorsa. 'Aldo' è l'intestatario della 'legge' di viale Bligny nel quale fu ritrovato lo schedario para-poliziesco di AO- Dp. Ma egli spiega di averlo preso come piede-a-terre (abitava fuori Milano) ed averlo frequentato soltanto fino a quando, nel '78, partì per il servizio militare. Non sapeva neanche che le bollette e le ricevute dell'affitto fossero ancora a suo nome. E quando lo scoprì se ne preoccupò moltissimo, telefonò a Costa per chiedergli di intestarlo a se stesso. Ora si dichiara sgomento che Costa non l'abbia fatto. "Mi pare di non potermi più fidare di nessuno.

Paola Boccardo


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